326.997 candidature presentate da fotografi originari di 195 Paesi: questi sono i numeri dei Sony World Photography Awards, giunti alla loro dodicesima edizione. La vera news di quest'anno è che l'ambito titolo di "Photographer of the Year" è stato vinto da un fotografo italiano, Federico Borella originario di Bologna. Ed il tricolore è stato davvero protagonista quest’anno, poiché altri quattro artisti connazionali hanno trionfato nel concorso dedicato ai Professionisti. Fino al 3 novembre è possibile ammirare la mostra dedicata a tutti gli scatti vincitori e finalisti di quello che è uno dei concorsi fotografici gratuiti più famosi al mondo presso la suggestiva e preziosa cornice della Villa Reale di Monza. Sono stata all'anteprima della mostra dove ho potuto ricevere anche il commento di Denis Curti, curatore dell’evento in Italia. Ecco tutto quello che devi sapere sui Sony World Photography Awards 2019.
Sony e fotografia: un concorso che sposta sempre più in là i limiti
Denis Curti, fotografo, giornalista, direttore editoriale e curatore di numerose mostre a livello internazionale, ha avuto in carico per la quarta volta l’edizione italiana dei Sony World Photography Awards e tre anni fa è stato anche membro della giuria. Ha avuto modo di testimoniare quanta passione e competenza vengano infusi da tutti coloro che vengono coinvolti in questo evento. Leggendo tra le motivazioni che hanno mosso la giuria a scegliere gli scatti vincitori di quest’anno, una in particolare ha colpito Curti: i Sony World Photography Awards spingono ogni anno un po’ più in là i confini della fotografia. E questo, in un momento storico delicato come quello che stiamo vivendo non può che essere da esempio raccontando storie che riguardano tutti noi, a livello universale.Ad esempio, il progetto fotografico "Five Degrees" del fotografo Borella che ha vinto il titolo Photographer of the Year 2019, presentato per la categoria Documentario, punta i riflettori sulla piaga dei suicidi maschili nella comunità agricola del Tamil Nadu, nel sud dell'India, colpita dalla più grave siccità degli ultimi 14 anni. Un sapiente mix di tecniche fotografiche e documentaristiche che l’hanno portato a conseguire il tanto ambito premio.
Una fotografia che pone domande, ma non le risolve
Come ti anticipavo all’inizio di questo articolo dedicato all'edizione 2019 dei Sony World Photography Awards, sono altri quattro gli italiani che hanno trionfato quest'anno. Alessandro Grassani ha vinto nella categoria Sport con la serie "Boxing Against Violence: The Female Boxers of Goma": un progetto che racconta le storie delle donne di Goma nella Repubblica Democratica del Congo, quasi tutte vittime di violenza, che si trovano a praticare la boxe come difesa personale. E questo dimostra quanto la lettura delle fotografie ai Sony World Photography Awards sia aperta: Grassani non è un fotografo sportivo, eppure questa seria gli ha permesso di conseguire il titolo in questa categoria. Troviamo poi la coppia fotografica formata da Jean-Marc Caimi e Valentina Piccinini che si sono aggiudicati la categoria Scoperta con la serie “Güle Güle” (arrivederci in turco) che racconta di un'Istanbul in completa trasformazione e delle persone che la vivono. Fotografi documentaristi, ci hanno raccontato di riuscire a collaborare in maniera così ottimale perché parlano lo stesso linguaggio fotografico. Un linguaggio che va ben oltre quello che ci si aspetta dalla fotografia di documentario, sempre bella e perfetta, chiara e lineare. Loro vogliono creare una tensione emotiva grazie alle domande che le fotografie suscitano in ognuno di noi. Tuttavia, questi quesiti non vengono risolti dalla fotografia stessa, restano aperti e lo spettatore deve fare lo sforzo di metterci del suo per completarli.Il secondo posto nella categoria Ritratto, invece, va a Massimo Giovannini con "Henkō", parola giapponese che significa "cambiamento" e "luce variabile e insolita", attraverso cui affronta il tema della luce e di come possa alterare la prospettiva degli oggetti. Si tratta di un progetto iniziato alcuni fa con cui il fotografo ha accostato il ritratto di uno stesso soggetto sia in versione femminile, sia maschile. Il suo alter ego di gender, diciamo. Per farlo, ha lavorato appunto sulla luce con solo un po' di trucco. Anche in questo caso, l'obiettivo era di creare smarrimento in chi guarda, facendolo vacillare sui suoi preconcetti.
Infine, il premio National Award è andato a Nicola Vincenzo Rinaldi, appassionato di street photography, grazie all’immagine dal titolo The Hug che, come l'artista stesso spiega, "ritrae un abbraccio avvolgente: solo i piedi sfuggono alla stretta". E infatti, ancora Rinaldi racconta come lo scatto non sia stato immediato poiché "a prima vista, non avevo capito che vi fossero due persone. Solo spostandomi ho notato i due piedi intrecciati".