
Il concetto di Internet of Things (IoT) comparve per la prima volta all’interno della comunità informatica nel lontano 1999 negli Stati Uniti. Allora venne presentata al mondo come un’innovazione così rivoluzionaria da cambiare profondamente la vita quotidiana, addirittura più di quanto aveva fatto Internet sui nostri PC. Ma a cosa si voleva fare riferimento esattamente con questo neologismo?
L’Internet delle Cose non è altro che l’interconnessione di oggetti mediante Internet. E per oggetti si intende di tutto: dai dispositivi più piccoli e insignificanti a quelli più importanti e complessi. Nulla è escluso. Si viene a creare in questo modo un sistema in cui non solo gli oggetti comunicano tra di loro in modo diretto e immediato, ma anche noi umani interagiamo in questa rete controllando e monitorando i device connessi tra di loro.
Quali applicazioni per l’Internet of Things

Luci e zone d’ombra
I vantaggi dell’Internet delle Cose sono evidenti. Avere degli oggetti connessi che dialogano tra di loro semplifica di molto la vita nei campi d’uso pertinenti. Questo vuol dire risparmio di tempo, ottimizzazione dei risultati e riduzione degli sprechi. Parallelamente, però, c’è chi mette in evidenza alcune criticità legate a una realtà così strutturata. In primo luogo, esiste un “problema” di privacy. Gli oggetti connessi “parlano” di noi, di quello che facciamo e di quello che ci piace, e può essere alla portata di tutti sul web. Non solo. C’è da chiedersi se i nostri dati sono al sicuro all’interno della rete. Possiamo essere davvero certi che le nostre informazioni non diventino oggetto di attacchi da parte di hacker e virus? C’è chi evidenzia, infine, implicazioni di tipo etico per alcune applicazioni specifiche: quale sarà in futuro il ruolo dell’uomo in un mondo in cui gli oggetti saranno sempre più in grado di funzionare autonomamente con la semplice connessione a Internet?